Cina, scoperte frodi su crediti garantiti da lingotti d'oro
Pubblicato: 30/06/2014 09:21:23Le autorità cinesi hanno tolto un altro mattone dalla costruzione, sempre più pericolante, del commodity trading. Dopo le indagini per frode nel porto di Qingdao, dove si sospetta che alluminio e rame siano stati reipotecati più volte, altri illeciti sono emersi in relazione all'impiego di oro. Il National Audit Office of China (Naoc), organismo statale con compiti simili a quelli della nostra Corte dei conti, ha scoperto attraverso controlli a campione che 25 società cinesi hanno ottenuto in prestito 94,4 miliardi di yuan, pari a 15,2 miliardi di dollari, a fronte di transazioni «improprie» che riguardavano il metallo prezioso. È stato lo stesso Naoc a riferire l'accaduto in una relazione al Parlamento che ha poi pubblicato in Internet.
I dettagli sono davvero scarsi: delle aziende coinvolte si sa soltanto che operano nella lavorazione dell'oro e che hanno tratto profitti illeciti per 900 milioni di yuan dall'operazione, che non viene descritta, anche se il Naoc specifica che i finanziamenti sono stati utilizzati per lucrare sul differenziale tra i tassi di interesse locali ed esteri. Non si citano nemmeno le banche creditrici (che potrebbero anche essere straniere) e la stessa collocazione temporale degli eventi è piuttosto vaga: si dice soltanto che sono avvenuti dal 2012. È proprio in quel periodo, comunque, che le importazioni di oro della Cina crescevano a ritmo esponenziale: un flusso di lingotti che si era ingrossato al punto da non essere più giustificabile con l'appetito, pure robustissimo, dei consumatori locali. Un paio di mesi fa il World Gold Council (Wgc) ha dato una sua spiegazione all'arcano, suggerendo che negli ultimi tre anni addirittura mille tonnellate di oro, per un valore di oltre 40 miliardi di $, potrebbero aver varcato i confini cinesi solo per diventare collaterale a garanzia di crediti (si veda Il Sole 24 Ore del 16 aprile).
Alcuni analisti locali affermano che le banche, forse avvertite dei controlli, già da qualche mese hanno alzato la guardia sui prestiti garantiti da oro. «Da quest'anno – assicura Hu Yanyan, di Everbright Future – le banche hanno cominciato a limitare la concessione di lettere di credito ai trasformatori di oro». Se la prudenza dovesse aumentare ulteriormente, avverte Liu Xu, di Capital Futures, «potrebbe esserci una riduzione delle importazioni cinesi di oro nel breve termine e qualche società potrebbe dover vendere lingotti per ripagare i creditori».
Le statistiche diffuse proprio ieri dalle autorità doganali di Hong Kong indicano che in maggio c'è stata in effetti una forte riduzione dell'import cinese di oro: al netto delle esportazioni, sono entrate in Cina solo 52,3 tonnellate, il 20% in meno rispetto ad aprile e meno della metà rispetto alle 106 tonnellate di maggio 2013. Il fenomeno potrebbe comunque spiegarsi semplicemente con il recupero delle quotazioni aurifere e il contemporaneo apprezzamento dello yuan, che ha invertito la tendenza dopo essersi svalutato del 3,4% rispetto al dollaro tra gennaio e aprile. Il World Gold Council ritiene che le irregolarità riscontrate dal Naoc non comprometteranno la domanda cinese, che dovrebbe mantenersi su livelli simili a quelli da record dell'anno scorso (1.176,4 tonnellate, per la prima volta più dell'India) per poi salire a 1.350 tonnellate entro il 2017.
La relazione del Naoc solleva qualche allarme anche su altre materie prime, accumulate nelle riserve strategiche di Pechino. A giugno 2013 2,4 milioni di tonnellate di scorte di cotone (il 27% del totale) erano custodite in modo inadeguato, in spazi all'aperto, il 70% del mais importato da Sinograin conteneva impurità superiori al 3% prescritto e le scorte di emergenza di carbone, da un indagine su 12 siti, sono risultate inferiori agli obiettivi del 30% nel 2011 e del 18% nel 2012.