Materie prime ai minimi dall'estate 2009

Pubblicato: 16/09/2014 10:03:47

Le materie prime sono tornate ai livelli di prezzo dell'estate 2009: una notizia in apparenza positiva per i consumatori, ma che presenta risvolti inquietanti, considerato che di solito il comparto funziona come termometro dell'economia globale. Il contemporaneo rally del dollaro cancella inoltre buona parte dei vantaggi per l'Italia e per tutti gli altri Paesi costretti a importare commodities pagandole in valuta americana.

A stabilire il record negativo è stato il Bloomberg Commodity Index, uno tra i più seguiti, al quale sono indicizzati prodotti finanziari e fondi di investimento per centinaia di miliardi di dollari: ieri l'indice è scivolato a 120 punti, il minimo da 5 anni, e per il 2014 è in ribasso di quasi il 4 per cento. Anche altri indici di materie prime, con panieri diversi, mostrano comunque performance negative, dopo aver drasticamente invertito la rotta un paio di mesi fa: il primo semestre si era concluso con rialzi intorno al 7 per cento.

La debolezza degli indici rispecchia una debolezza diffusa tra le commodities. A parte l'oro – che ha quasi azzerato i rialzi dell'anno, ripiegando sotto 1.230 $/oncia – sotto i riflettori c'è il petrolio, in caduta libera da giugno e con il Brent sotto 97 $/barile per la prima volta da due anni. Per altri prodotti i ribassi sono però ancora più impressionanti. Il minerale di ferro ad esempio, importante ingrediente dell'acciaio, ha perso circa il 40% quest'anno e ora vale circa 82 $/tonn, un prezzo che non si vedeva dal 2009. Sono scesi ai minimi da 5 anni anche il carbone, la gomma, lo zucchero e l'olio di palma, usato nella preparazione di moltissimi alimenti e cosmetici. Mais, grano e soia, da mesi in «bear market», sono intanto crollati ai livelli dell'estate 2010. Meno clamorosa è la discesa dei prezzi dei metalli non ferrosi, ma rame e nickel scambiano comunque sui minimi da tre mesi.

Per alcune materie prime la debolezza si spiega con l'abbondanza: è soprattutto il caso di cereali e soia, schiacciati al ribasso da raccolti da primato, che faranno risalire le scorte globali. L'aumento dell'offerta pesa anche sul minerale di ferro, in seguito al forte sviluppo delle miniere in Australia e Brasile, e indubbiamente sul petrolio, influenzato dalla spettacolare crescita dello shale oil negli Usa. Almeno altrettanto forti sono però i timori sulla salute della domanda. Di combustibili e altro.

Accanto alla fragilità di Europa e Giappone, spaventa sempre di più la nuova frenata della Cina, gigante che domina il consumo di quasi tutte le materie prime. La ripresa negli Usa, ammesso che sia solida, non solo non basta a sostenere i corsi delle commodities, ma potrebbe anzi deprimerli ulteriormente nel breve, se – come ormai ci si aspetta – porterà presto a un rialzo dei tassi di interesse.

La corsa del dollaro, ai massimi da oltre un anno proprio sull'attesa di una stretta monetaria della Fed, è in questi giorni un potente fattore ribassista per le materie prime, tornate a mostrare uno stretto rapporto di correlazione inversa con il biglietto verde. Per l'oro, un po' commodity e un po' valuta, i movimenti sono quasi speculari, con un rapporto arrivato in questi giorni a -0,94 (un valore pari a 1 indica una perfetta correlazione inversa). Ma il rapporto è andato oltre -0,80 anche per petrolio e mais.