L'oro «bene rifugio» è finita per sempre? Ecco cosa aspettarsi dal 2015
Pubblicato: 18/12/2014 09:04:29Scordiamoci i binomi del passato, come “austerity e greggio alle stelle”, lo stigma dello choc petrolifero degli anni '70, oppure “oro bene rifugio”, in voga nel primo decennio dei 2000, anticamera di una crisi profonda. Il nuovo millennio ha iniziato a tracciare percorsi economici ignoti e ha messo in dubbio storici paradigmi: oggi il barile vale meno di 70 dollari, neanche la metà che nel 2008, poco prima che il fallimento di Lehman Brothers diventasse simbolo della bufera finanziaria globale; il metallo giallo ha perso un terzo del valore a 1.200 dollari l'oncia, dal picco oltre i 1.920 di fine 2011, perché gli investitori preferiscono comprare azioni rischiose e rigide obbligazioni a tasso fisso piuttosto che il pregiato metallo giallo, nonostante le incertezze sulla crescita.
Possiamo solo gioire della maggiore convenienza dei prodotti energetici e dei preziosi, ma c'è da augurarsi che rincarino un po'. Masochismo da consumatori? No, il rialzo sarebbe il segnale di una ripresa della spesa per consumi e investimenti e del risveglio dell'inflazione dall'inerzia totale. In sintesi, sarebbe un sintomo di ripresa. Però oro e petrolio potrebbero prendere direzioni diverse o tenere ritmi differenti.
Petrolio balsamico
«Il petrolio più basso ha molte virtù nel contesto attuale dell'Eurozona e potrebbe essere salutare», afferma Philippe Waechter, capo economista di Natixis Asset Management -. La caduta della quotazione del greggio funziona come un trasferimento dai Paesi produttori a quelli consumatori e porta a un rapido miglioramento di questi ultimi, attraverso l'aumento dei margini delle imprese industriali e ai risparmi delle famiglie sulle bollette». Di fatto, come osservano gli specialisti di Aberdeen Asset Management, il petrolio a buon mercato funziona come un taglio fiscale e spinge la fiducia dei consumatori. Gli investitori, però, guardano con preoccupazione al calo del prezzo dell'oro nero, perché riflette il rallentamento della crescita globale; vero, in parte, ma è importante sottolineare che il ribasso coincide con una maggiore disponibilità di materia prima, dovuta all'aumento dell'estrazione.
La guerra dell'oro nero e la graffiata dell'orso sulle materie prime
Il mancato accordo tra i Paesi dell'Opec su un taglio della produzione ha levato ogni certezza su una guerra dei prezzi in atto, commenta Alessandro Balsotti, Senior Portfolio Manager di Jci Capital. Il conflitto è aperto su due fronti: quello tra l'Arabia Saudita (più forte, che mira a mantenere le quote di mercato a costo di prezzi più bassi) e i produttori più deboli (Siria, Iran, Russia, che avrebbero interesse a limitare la discesa); e quello tra Opec e i produttori americani, che utilizzano le nuove tecniche di estrazione (shale oil). A ciò, si aggiungono altre cause che pesano sul mercato delle materie prime in generale; Crédit Suisse individua, oltre all'aumento di produzione: il rallentamento della Cina che è uno dei maggiori consumatori di risorse; il rafforzamento del dollaro, che è la moneta di denominazione di molte commodities; prezzi reali, cioè depurati dalla bassa inflazione, che sono alti rispetto alla media storica; prezzi alla produzione che tendono a calare, per via della discesa dei salari e dei costi di finanziamento.
Barile in saldo…
Con queste premesse, secondo Balsotti di Jci Capital, i recenti prezzi del petrolio non sono destinati al rimbalzo, ma resterebbero in una fase oscillatoria tra 60 e 80 dollari per parecchi mesi. Negli ultimi giorni, le case di investimento hanno rincorso i ribassi del greggio con le stime e non escludono nuovi minimi, anche a causa della speculazione. «Senza il taglio della produzione – spiega Thina Margrethe Saltvedt, capo analista macro di Nordea – ci vorrà più tempo perché il rapporto tra domanda e offerta torni stabile; i barili in eccesso continueranno ad essere immessi sul mercato nella prima metà del 2015, mantenendo i prezzi del greggio ai minimi».
…ma a termine
Tuttavia, gli esperti credono anche che 60 dollari o poco più non possano reggere il barile. «I titoli delle migliori società petrolifere scontano prezzi tra i 65 e 75 dollari, quelle di minore qualità tra 60 e 65 dollari – commentano Todd Heltman e Jeff Wyll, senior energy analyst di Neuberger Berman -; ma non crediamo che il limite inferiore di questa fascia di prezzi sia sostenibile nel lungo periodo, dato che si trova sotto il costo marginale di produzione. Ipotizzando un'economia globale in salute e in crescita e un aumento di domanda di almeno un milione di barili al giorno, saranno necessari prezzi vicini a 80-90 dollari per incentivare le società ad aumentare la produzione».
Tom Nelson e Charles Whall, energy portfolio managers di Investec, non escludono incursioni al ribasso nel breve termine, ma individuano un possibile supporto nella domanda invernale: se il Brent (il petrolio del mare del Nord) tenesse i 70 dollari medi da qui a fine anno, la media del 2014 sarebbe di 100 dollari e il prezzo potrebbe crescere da 75 a 90 dollari nel 2015, con una media di 80-85.
Société Générale è più negativa e raccomanda di stare lontano dal petrolio; nonostante l'effetto combinato di maggiore richiesta trainata dal ciclo e un minor tasso di aumento della produzione, il Brent potrebbe avere una media di 72 dollari nel 2017, 74 nel 2018, 75 nel 2019; Il Wti del Texas continuerebbe a prezzare 5 dollari in meno (rispettivamente, 67, 69 e 70 negli stessi periodi).
Gli imprevisti
Nomura, che crede che il greggio salirà ancora verso gli 80-100 dollari al barile, fa presente anche i rischi di una inversione inaspettata della quotazione: uno schock dell'offerta, da non escludere in Libia; un accordo dell'Opec o tra Russia e Messico; un forte rallentamento dei bacini nordamericani.
I nemici dell'oro: dollaro, disinflazione e rischio
I momenti di incertezza economica hanno sempre coinciso con un aumento della domanda, e della quotazione, di oro, considerato un bene rifugio e una protezione contro le impennate dell'inflazione. Negli ultimi tre anni, però, l'oro ha perso vigore, in concomitanza con la crescente propensione al rischio degli investitori sui mercati finanziari e le attese di inflazione calante, che si fanno preoccupanti. Le prospettive di rafforzamento del dollaro hanno messo un altro carico sul metallo giallo. Potrebbe avere toccato il fondo, secondo Joe Foster, gestore del fondo World Gold Expertise di Lombard Odier I.M., sebbene la fiducia negli Usa, che è il traino più potente per l'oro, sia ancora alta. Il team di ricerca di Etf Securities dipinge uno scenario estremamente confuso e scorge un possibile gancio per il rialzo della quotazione: la politica espansiva delle banca centrale europea e di quella giapponese, che con tassi dei depositi irrisori o negativi rendono più appetibile il lingotto. Un lieve recupero è possibile, aggiunge Bradley George, responsabile delle materie prime di Investec Asset Management, se i tassi Usa non si alzeranno fino a fine 2015.
Idee preziose alternative per il 2015
Può essere una buona idea, suggerisce Bradley George di Investec, investire nelle azioni delle società minerarie, che hanno tagliato i costi per migliorare i margini e sono a buon mercato, dato che hanno registrato vendite significative fino all'inizio dello scorso anno; oppure, tra i preziosi, puntare sul palladio: nel 2015 è previsto un deficit di offerta che alzerebbe molto i prezzi.