Oro, adesso i produttori cercano un paracadute alla caduta dei prezzi
Pubblicato: 31/03/2015 15:17:35Ci sono sempre più cicale tra le compagnie petrolifere e sempre più formiche tra i produttori di oro. La discesa dei prezzi delle materie prime sta cambiando l’atteggiamento delle società estrattive nei confronti dell’hedging. Ma se un numero crescente di società aurifere si sta riavvicinando a queste operazioni, che bloccano il valore di una parte delle vendite future, nel settore del petrolio - e dello shale oil in particolare - sono invece sempre più frequenti i casi di chi abbandona le protezioni dal rischio di ulteriori ribassi del barile, spesso non per ottimismo ma per disperata necessità di fare cassa.
Le due tendenze in realtà sono entrambe la spia di un disagio crescente di fronte alla brusca inversione del ciclo sui mercati delle commodities. Lo scetticismo sulla possibilità che le quotazioni dell’oro tornino a correre ha ormai preso piede al punto che nel 2014 le “formichine” aurifere hanno venduto in anticipo 103 tonnellate nette di oro : l’incremento è il maggiore dal 1999, epoca in cui il rally ultradecennale del lingotto - che ha scatenato una corsa al de-hedging - doveva ancora cominciare.
Gli analisti di Société Générale e Gfms, autori della trimestrale Global Hedge Book Analysis, invitano alla cautela nell’interpretare i dati. L’impennata dell’hedging - ben oltre la previsione di 42-52 tonnellate che era stata fatta dagli stessi analisti - dipende per oltre due terzi dalle operazioni di due società: la russa Polyus Gold e Fresnillo, che a sorpresa a fine anno ne ha seguito l’esempio.
L’hedge book complessivo, arrivato a 195 tonnellate, è sì raddoppiato nel corso del 2014, ma le sue dimensioni sono tuttora soltanto il 6% rispetto al picco raggiunto nel 1999. Comunque sia, gli esperti di SocGen e Gfms affermano che l’hedging sta tuttora aumentando e prevedono che lo farà anche «nei prossimi trimestri e anni», pur senza tornare ai livelli degli anni ’90.
Anche nel settore petrolifero le società più prudenti (e più solide) stanno continuando a proteggersi dai rischi di caduta dei prezzi. Qualcuno inizia anche a spingere più lontano nel tempo le difese. Le operazioni di hedging costruite in passato, infatti, solo in rari casi si spingono oltre il 2016: la banca di investimenti Simmons & Co, che monitora 40 compagnie Usa, stima che il 31% della produzione di quest’anno sia coperta da hedging a un prezzo medio di 83,80 $/barile e che per l’anno prossimo la quota si riduca all’11%, con un prezzo medio di 79,63 $. Una ricca polizza di assicurazione, perchi è stato tanto previdente da pensarci. Con il Wti intorno a 50 $/bbl, tuttavia, un numero crescente di società sta vendendo in anticipo le sue “polizze”.
Qualcuno ha monetizzato convinto che il petrolio avrebbe subito ripreso a correre: è il caso di Continental Resources, che ha venduto quando il barile valeva ancora 80 $ e oggi probabilmente si mangia le mani. Altre società, come Carrizo Oil & Gas e Parsley Energy, hanno venduto per riacquistare nuove tutele, più adeguate e durature: una mossa che potrebbe rivelarsi saggia, visto che molti analisti pensano che il petrolio impiegherà molto tempo per tornare a 100 $ e oltre. Per altri - ad esempio Energy XXI, sull’orlo della bancarotta - liberarsi dell’hedging sembra invece essere stata una mossa disperata: l’unica possibilità per raccogliere denaro (e sopravvivere ancora un po’) dopo aver perso del tutto la fiducia dei creditori.