L'ipotesi di default degli Stati Uniti non scalda più l'oro

Pubblicato: 11/10/2013 17:43:08

L'allarme sul debito degli Stati Uniti nell'estate 2011 era stato decisivo nell'accelerare la corsa dell'oro al record storico, oltre 1.920 dollari l'oncia. Oggi assistiamo a un altro film. Nella flemma generale dei mercati di fronte alla possibilità, sia pure remota, di un default di Washington, il lingotto sembra sospeso in un limbo: tuttora restio a scivolare sotto la soglia 1.300 $, ma apparentemente indifferente alle vicende d'oltre Oceano e trascurato dagli investitori, che evidentemente non sentono un bisogno impellente di beni rifugio.
È ormai trascorsa più di una settimana dall'avvio dello shutdown, la parziale chiusura degli uffici federali statunitensi, e da allora le quotazioni dell'oro sono rimaste in una banda di oscillazione di meno di 30 $, senza mai raggiungere 1.330 $/oncia. E ieri la tendenza era particolarmente ribassista, nonostante l'avvicinarsi della scadenza del 17 ottobre – quando, in assenza di un accordo sul tetto del debito, gli Usa potrebbero andare in default – e nonostante la Casa Bianca abbia indicato Janet Yellen come successore di Ben Bernanke alla guida della Federal Reserve: una scelta che prelude a un proseguimento dell'attuale approccio espansivo della politica monetaria americana. La notizia, in modo tutto sommato controintuitivo, ha fatto salire il dollaro. Di qui, forse, la spinta ribassista per l'oro, schiacciato fino a un minimo di 1.295 $ nel corso della seduta.
Anche altre commodities, tra cui il petrolio e il rame, ieri hanno registrato forti ribassi. Del resto, anche a prescindere dall'andamento del dollaro, il protrarsi dello stallo sul debito potrebbe finire col rallentare l'economia Usa. E questo non solo avrebbe un impatto sui consumi di materie prime, ma indurrebbe la Fed a rinviare il tapering, ossia l'avvio della riduzione graduale degli stimoli: evento quest'ultimo molto negativo soprattutto per l'oro, che in passato ha ricevuto un forte sostegno dalla riduzione dei tassi di interesse di lungo termine e dal timore di inflazione.
Il rischio default degli Usa – ammesso che esista davvero, perché nessuno sembra crederci – non basta a sostenere il lingotto. «Le condizioni oggi sono diverse da com'erano nel 2011, quando vi fu il primo downgrade del debito Usa da parte delle agenzie di rating», ricorda Tom Kendall, analista di Credit Suisse. «All'epoca l'oro ricevette davvero un forte impulso al rialzo, ma eravamo anche nel pieno della crisi dell'Eurozona e lontani anni luce dal sentire parlare del possibile ritiro degli stimoli». Inoltre gli altri possibili investimenti, dalle Borse ai titoli di Stato, sono ben più allettanti rispetto a due anni fa.
Quando negli Usa arriverà una schiarita, assicura Jeffrie Currie, responsabile della ricerca sulle commodities di Goldman Sachs, «vendere oro sarà una scommessa a colpo sicuro». Incapaci per ora di decifrare i prossimi sviluppi, gli investitori per il momento sembrano tuttavia temporeggiare: i volumi di scambio al Comex sono crollati questo mese a una media di 150mila lotti al giorno, contro 210mila nei primi nove mesi del 2013. Anche l'interesse verso gli Etf sull'oro fisico continua a spegnersi: il patrimonio dell'Spdr Gold è diminuito di quasi 8 tonnellate dall'inizio dello shutdown.