Mercati finanziari appesi al filo della Fed

Pubblicato: 26/11/2013 12:05:02

Continua la fase di debolezza delle materie prime, almeno in termini relativi rispetto alle azioni. Lo scenario nel 2013 non è troppo dissimile dallo scorso anno: alcuni osservatori internazionali parlano da tempo di fine del ciclo rialzista per le commodity. L'aspetto sorprendendente è che le commodity non abbiano reagito alle massicce iniezioni di liquidità delle principali banche centrali.

L'immissione di nuova carta nel sistema non ha creato inflazione: vuol dire che l'economia mondiale non è ancora perfettamente in salute. «Durante la crisi finanziaria - sottolinea Cesarano - la reazione delle commodity è cambiata. Tra il 2008 e il 2010 si è creduto che la politica monetaria accomodante della Fed, con il quantitative easing, proiettasse le commodity verso l'alto creando inflazione e così è stato. Dal 2011 invece le materie prime sono meno reattive rispetto alla variabile della liquidità. Quello che sta impattando maggiormente è il mutato scenario congiunturale. La Cina sta crescendo a ritmi decrescenti rispetto al +10% di Pil di qualche anno fa. Manca quindi il driver del gigante asiatico e quindi la componente speculativa è meno solida». Osservato speciale resta il petrolio. «Sul petrolio - continua Cesarano - incide la variabile dello shale gas e dello shale oil. Possibile quindi che il petrolio Brent si muova nel 2014 in un trading range tra 95 e 115 dollari, senza contare ovviamente fattori di tensione legati soprattutto ad aspetti geopolitici».

Tra le materie prime più penalizzate c'è l'oro, che flette di quasi il 30% da inizio anno. L'oro resta debole perche' subisce la concorrenza delle Borse. C'è da dire che la correzione dai massimi è stata profonda e il prezzo si sta avvicinando ai livelli di estrazione in area 1.100-1.200 dollari.

Il dollaro potrebbe restare debole. Difficili discese sotto 1,3 sull'euro
Il dollaro così debole in questo ultimo scorcio dell'anno è una sorpresa: almeno per coloro che avevano scommesso su un rialzo dei tassi negli Usa e nella fine della politica espansiva della Fed. Ne ha tratto beneficio l'euro tornato a ridosso di 1,4 nonostante le prospettive di crescita più deboli degli States. Che cosa ha determinato una moneta unica così forte?

«È in corso - spiega Cesarano - un processo di dedollarizzazione del sistema da parte della Cina. Il gigante asiatico sta proponendo la propria valuta, lo yuan, come valuta mondiale, come dimostrano i numerosi swap valutari, l'ultimo dei quali con la Bce. L'altro aspetto è che la Cina sta internalizzando il business delle materie prime con scambi su proprie piazze». L'euro quindi non riesce a essere così debole come richiesto dalla congiuntura. La moneta unica è arrivata fino a 1,38 e poi ha rallentato: c'è il dubbio che la Fed possa anticipare il tapering a dicembre e non a marzo come ritenuto dal consensus degli analisti. Nell'ultima riunione del Fomc non è stata fatta menzione degli effetti dello shutdown e questa ha lasciato aperta la porta a un tapering anticipato

«A questo punto - continua Cesarano - il mercato è più sensibile anche alle prospettive di politica monetaria della Bce. Si punta su nuove iniezioni di liquidità non escludendo una nuova operazione di Ltro. Qualora il tapering fosse anticipato l'euro potrebbe scivolare fino a 1,30 e 1,32. L'avvento della Yellen alla guida della Fed con il nuovo anno e il prevedibile flusso di nuovi fondi verso l'area euro in concomitanza con il lancio dell'atteso piano per le piccole imprese, promesso da Draghi, potrebbero ridare fiato alla moneta unica. È da mettere in conto che la Fed avvii il tapering e poi si fermi. Un nuovo atteggiamento più accomodante potrebbe riportare in auge l'euro, che sceso intorno a 1,30 verso fine anno, potrebbe poi riprendere la corsa».